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Storie di utenti: intervista a Stephen Harrison

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Molti dei nostri studi clinici, inoltre, prevedono un esame con FibroScan® lungo il percorso, come valutazione basale per un trattamento, come valutazione intermedia del trattamento stesso rispetto al basale, come parametro d’esame non invasivo in qualità di endpoint secondario o esplorativo.

Dr. Stephen Harrison| Medico, gastroenterologo ed epatologo, Direttore sanitario di Pinnacle Clinical Research e Professore invitato di Epatologia presso l’Università di Oxford.

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FibroScan® è parte integrante delle nostre procedure di pre-screening. Quando individuiamo un paziente che in base ai criteri demografici potrebbe essere affetto da steatosi epatica, esaminiamo i risultati delle analisi biochimiche del fegato, nello specifico l’aspartato aminotransferasi (AST), quindi svolgiamo un esame con FibroScan® con la funzione Controlled Attenuation Parameter (CAP™) e il punteggio in kilopascal (kPa).

A questo punto, procediamo in due modi:

1) Osserviamo singolarmente l’AST e verifichiamo se è superiore a 20, e valutiamo il valore kPa per determinare se è maggiore di 8,5 e se il CAP™ supera 280.

2) Se questi valori sono confermati, il paziente entra in lista d’attesa per uno studio clinico di Pinnacle.

Inoltre generiamo uno Score Fast™ di FibroScan® aggiungendo CAP™, kPa e AST. Se il valore è superiore a 0,67, il paziente viene inserito nell’elenco F2 per accertamenti più approfonditi. Se il valore è compreso tra 0,35 e 0,67, viene inserito in uno studio clinico non invasivo o che prende in esame i pazienti F1 oltre ai pazienti F2 ed F3, ma in genere il ventaglio comprende da F1 a F3. È in questo modo che utilizziamo FibroScan® fino al momento dello screening per uno studio clinico.

Molti dei nostri studi clinici, inoltre, prevedono un esame con FibroScan® lungo il percorso, come valutazione basale per un trattamento, come valutazione intermedia del trattamento stesso rispetto al basale, come parametro d’esame non invasivo in qualità di endpoint secondario o esplorativo.

Parte del problema delle alte percentuali di pazienti non idonei allo screening è dovuta al fatto che in molti dei nostri studi clinici, in particolare quelli di fase più avanzata, per essere idoneo all’arruolamento un paziente deve superare tre diverse barriere: innanzitutto gli esiti delle analisi di laboratorio, i farmaci e il consenso. Perdiamo una certa percentuale di pazienti a seguito di questi aspetti.

Ad esempio, abbiamo perso una paziente proprio oggi perché i risultati delle analisi evidenziano un valore di HbA1c pari a 14,5, mentre quasi tutti gli studi clinici escludono i pazienti con valori di HbA1c superiori a 9,5. Non potevamo saperlo prima perché non abbiamo dati anamnestici relativi all’A1c e la paziente pensava che i suoi valori fossero molto più sotto controllo di quanto è poi emerso, una circostanza molto comune.

La seconda barriera è quella della diagnostica per immagini, in genere una risonanza magnetica. Perdiamo un certo numero di pazienti in base ai risultati della risonanza magnetica basata sulla densità protonica della frazione grassa (MRI-PDFF) o della risonanza magnetica elastografica (MRE), che sono richieste per alcuni studi clinici e il lavoro di sperimentazione clinica in fase precoce che stiamo svolgendo.

L’ultima barriera è quella della biopsia epatica. Storicamente, prima dell’esame con FibroScan® e dell’analisi biochimica del fegato, le percentuali di pazienti non idonei allo screening della biopsia epatica raggiungevano il 60-65% solo per questa barriera, senza contare gli esami di laboratorio e la percentuale di screening iniziali non superati ancor prima di arrivare alla biopsia epatica, tutti fattori che contribuiscono a percentuali complessive molto alte. Siamo riusciti a migliorare tali percentuali in due modi grazie a FibroScan®:

Innanzitutto utilizzando la funzione CAP™. Se uno studio clinico prevede una RM con tre criteri per una certa quantità di grasso epatico in base alla MRI-PDFF, possiamo regolare il CAP™ in modo da raggiungere la soglia MRI-PDFF definita con un’accuratezza di circa l’80-85%. Questo riduce la percentuale di pazienti non idonei all’RM di screening a una percentuale di circa il 15-20%. Successivamente, unendo in modo sequenziale un’analisi di biochimica epatica all’esame con FibroScan®, siamo stati in grado di ridurre la percentuale di pazienti non idonei allo screening con biopsia epatica dal 60-65% al 30-35%.

E questi sono sicuramente progressi che continueranno a dare il loro frutti. Ma soprattutto, in questo modo sono migliorate le nostre percentuali di pazienti idonei allo screening. Tuttavia, c’è ancora molto da fare e stiamo continuando a perfezionare il sistema.

Ci auguriamo che FibroScan®-AST (Fast™) possa determinare un ulteriore progresso continuo che ci consentirà di raggiungere il traguardo.

Lo Score Fast™ riunisce tre componenti: due biomarcatori fisici, ovvero la rigidità del fegato tramite VCTE™ e il CAP™, stimando la fibrosi epatica e la cirrosi epatica attraverso un esame con FibroScan®, più l’AST, un marcatore ematico di infiammazione facilmente accessibile.

FibroScan® e strumenti come Fast™ supportano una diagnosi efficiente presso il punto di cura, migliorando l’accuratezza diagnostica e riducendo i costi. Fast™ è accessibile, e riduce le valutazioni invasive non necessarie e l’esigenza di eseguire costose e complesse analisi del sangue. È semplice da determinare e da interpretare, richiedendo l’inserimento di soli tre dati in un calcolatore dell’app myFibroScan. Il medico, inoltre, può definire la soglia per il rinvio specialistico in base ai propri obiettivi, soppesando sensibilità e specificità.

Ritengo che il messaggio per le strutture sanitarie interessate agli studi clinici di ricerca sulla NASH sia che questo è un settore molto impegnativo, anche per chi lo fa per vivere e ama le sfide insite in questo lavoro.

Ma è possibile dotarsi di strumenti come FibroScan® che possono contribuire al successo in questa arena: proprio come si utilizzano i parametri vitali perché sono indicazioni fondamentali, io utilizzo FibroScan® come sesto parametro vitale che ci aiuta a raggiungere il successo pre-identificando i pazienti con una maggiore probabilità di superare le barriere che ho descritto in precedenza.

Guardo tutti i test non invasivi attraverso la lente di questioni contestuali distinte.

La prima di queste è la diagnosi dei pazienti con NASH a rischio, quelli che con ogni probabilità subiranno una progressione della malattia se non si interviene con una terapia. Questo è il gruppo di pazienti su cui ci concentriamo. Ritengo che l’utilizzo dell’app con FibroScan® ci aiuti a escludere la maggior parte dei pazienti che non rientra in tale categoria. Successivamente, eseguendo anche le analisi biochimiche dei parametri epatici di routine, possiamo identificare ancor meglio il gruppo che probabilmente avrà una progressione.

Il secondo contesto d’uso è il monitoraggio dell’efficacia terapeutica del farmaco in questione. Qui abbiamo dati preliminari precoci dello studio clinico Regenerate, ottenuti attraverso un’analisi post-conferenza recentemente presentata dal gruppo di Jérôme Boursier, che dimostrano la possibilità di usare la misurazione della rigidità del fegato con FibroScan® per definire una correlazione con il miglioramento istopatologico. Da precedenti studi è emerso che una riduzione del 25% del valore della rigidità epatica in kPa ottenuto con FibroScan® è correlata a un miglioramento dell’istopatologia.

Sono fiducioso del fatto che, andando avanti e utilizzando diversi meccanismi d’azione per trattare questa patologia del fegato, FibroScan® verrà impiegato negli studi clinici come strumento non invasivo, in modo che possano essere replicati risultati simili a quelli dello studio Regenerate, i quali dimostrano che un miglioramento nell’istopatologia è correlato a un miglioramento del valore in kPa ottenuto con FibroScan®. Quando arriverà il momento di prescrivere il farmaco, l’operatore si troverà a proprio agio nell’utilizzare la VCTE™ (Vibration-Controlled Transient Elastography) per valutare sia la compliance al farmaco, sia l’efficacia complessiva.

Concentrandoci in modo specifico sui pazienti con diabete di tipo 2, sappiamo dall’elegante lavoro prodotto dal gruppo di Zobair Younossi che la prevalenza complessiva della steatosi epatica è di circa il 55-60% tra i diabetici di tipo 2, a prescindere dall’area geografica in cui vivono. In particolare nei diabetici osserviamo spesso una forma più aggressiva di fegato grasso, la steatoepatite non alcolica (NASH). Fino a un terzo dei pazienti affetti da diabete, infatti, può presentare questa forma più avanzata di steatosi epatica. È molto importante sottolineare che, probabilmente, circa il 17% delle persone diabetiche ha una sottostante fibrosi epatica in stadio avanzato. Pertanto, se alla base di tutto c’è l’individuazione di un paziente affetto da diabete di tipo 2 con steatosi epatica, per avere successo nell’intento possiamo utilizzare il CAP™. Sappiamo che un punteggio CAP™ superiore a 280 negli Stati Uniti è ben correlato alla steatosi epatica e ne consente l’individuazione. Se abbiamo un paziente con diabete di tipo 2 e utilizziamo VCTE™, determiniamo il punteggio CAP™ e identifichiamo che è superiore a 280, possiamo anche controllare il valore in kPa ottenuto con FibroScan® e verificare se è inferiore a 6 o superiore a 8,5. Se è inferiore a 6 ma il paziente ha la steatosi epatica, gli comunico: “Ottime notizie di grande gioia oggi a San Antonio, Lei ha il diabete di tipo 2 e il fegato grasso, ma la situazione non si è evoluta in una cicatrizzazione significativa del fegato. Le raccomando di tenersi maggiormente sotto controllo, di controllare attentamente il diabete di tipo 2 di cui soffre. Vorrei che si concentrasse su una perdita del 10% del Suo peso attraverso una dieta drastica e l’attività fisica. Deve orientarsi maggiormente verso una dieta mediterranea, limitando i carboidrati raffinati.” D’altro canto, il Suo punteggio CAP™ è pari o superiore a 280 e il valore kPa è maggiore di 8,5, indipendentemente da ciò che ci indica il pannello d’esame della biochimica epatica, ora Lei è identificata come una persona potenzialmente a rischio di fibrosi a causa della steatoepatite e del diabete di tipo 2.

Dovrà essere utilizzato un approccio di gestione più aggressivo che includerà la valutazione per uno studio clinico, un’ulteriore valutazione con l’elastografia tramite risonanza magnetica e/o la biopsia epatica. 

Si trova nella fascia in cui il CAP™ è superiore a 280, mentre il valore kPa è compreso tra 6 e 8,5. Quando i valori sono questi, raccomando ai miei pazienti di fare l’esame del pannello epatico, ed esaminiamo l’anamnesi familiare per le patologie del fegato. Se da questi risulta che è nel gruppo a rischio, procederei come se il Suo valore kPa fosse superiore a 8,5.

Se è possibile limitare la progressione della fibrosi epatica entro valori minimi e, ancor meglio, ottenere la regressione della fibrosi e la risoluzione della NASH, credo che riusciremo a influire sui risultati a lungo termine, e non solo sugli eventi correlati alle patologie del fegato, ma anche cardiaci, renali e oncologici.

Se riusciremo a generare altre ricerche positive su VCTE™, sarebbe magnifico poter consigliare un test presso il punto di cura che sia facilmente a disposizione nel mio ambulatorio e che possa essere effettivamente correlato a un risultato a lungo termine.  Questo mi porta al terzo contesto d’uso di un test non invasivo, che consiste nella possibilità di prevedere come il paziente si sentirà, il suo stato di performance e come sopravviverà sul lungo periodo.

Siamo ora nella fase di generazione dei dati, ma siamo fiduciosi nel fatto che non solo potremo utilizzare la VCTE™ per il primo e il secondo contesto d’uso che ho messo in luce, ma anche per il terzo, così che possiamo fornire ai nostri pazienti un test completo presso il punto di cura quando vengono in struttura e rassicurarli nel loro percorso in merito al miglioramento, o nel caso peggiore, alla stabilizzazione delle loro condizioni di salute.

In diversi modi. Anche in questo caso, il principale è la possibilità di eseguire l’esame VCTE™ in ambulatorio, così possiamo escludere l’80% dei pazienti non a rischio di progressione della malattia ma che hanno la steatosi epatica.

In altri termini, ci sono circa 100 milioni di americani che hanno il fegato grasso, ma solo 20 milioni hanno la NASH e sono a rischio di progressione della malattia sul lungo periodo.

Abbiamo individuato un test che può indicarci con buona sicurezza i pazienti che ricadono in quell’80%. È il gruppo che ha la steatosi epatica ma non la NASH con fibrosi epatica. Si tratta di una tipologia di pazienti su cui possiamo intervenire con cambiamenti dello stile di vita e per la quale non è necessario procedere con esami e farmaci costosi.

Questi pazienti possono iniziare a riportare risultati positivi semplicemente adottando dei cambiamenti delle loro abitudini quotidiane. Inoltre, se riusciamo a identificare tali pazienti con fegato grasso, possiamo correlare la steatosi epatica al rischio di insorgenza di diabete o di altre potenziali comorbidità. Con una gestione decisa, ora possiamo evitare l’insorgenza di tali comorbidità a lungo termine nel decorso della malattia.